Trasformazione digitale: una rivoluzione di senso

Che differenza c’è fra digitalizzazione e trasformazione digitale? Che cos’è Agenda 2030? Siamo pronti per la quarta rivoluzione industriale? Ma soprattutto, un saggio può essere scritto in terza persona?

A queste e altre domande risponde l’interessantissimo volume di Stefano Epifani “Sostenibilità digitale: perché la sostenibilità non può fare a meno della trasformazione digitale”, edito dal Digital Transformation Institute. Un libro ricchissimo di spunti, temi e riferimenti bibliografici, scritto anche (soprattutto?) per i non addetti ai lavori.

In particolare, all’ultima domanda l’autore risponde scrivendo un saggio che prende spunto da storie di persone comuni per mostrarci come la tecnologia può contribuire a migliorare le nostre vite diventando driver di sostenibilità, nel rispetto degli obiettivi definiti da Agenda 2030.

E quindi leggiamo di Valerio che fa il giornalista e ascolta i Dire Straits. O di Anna, alle prese con il ricambio generazionale dell’azienda di famiglia. Per continuare con il tassista Alfio, il vivaista Domenico e Carla che fa il medico. Ognuno di loro ci racconta una storia e una sfida a cui la trasformazione digitale offre una opportunità.

Attraverso questi personaggi scopriamo quanto sia importante agire sulla dimensione culturale per acquisire consapevolezza e non subire passivamente l’inarrestabile cambiamento portato da tecnologie come intelligenza artificiale, blockchain, big data, social media e realtà virtuale. Spesso queste parole spaventano, un po’ per l’umana diffidenza verso l’innovazione e un po’ perché la mancanza di consapevolezza ci relega a un ruolo passivo nei confronti della tecnologia e i cambiamenti che essa genera. Purtroppo si innesca un circolo vizioso in cui chi rifiuta a priori l’innovazione o non è interessato a comprenderne gli strumenti finisce per subirne solo gli effetti negativi.

Prendendo spunto da queste vicende quotidiane, il libro di Epifani riesce perfettamente nell’intento pedagogico di scardinare tutti i pregiudizi e alcuni fraintendimenti legati all’innovazione digitale, mostrandone le criticità ma offrendo allo stesso tempo esempi concreti di modelli virtuosi che concorrono alla crescita sostenibile.

Se, per esempio, è vero che i social network hanno impoverito l’interazione e i contenuti della Rete, il libro ci fa conoscere anche casi di studio in cui, abbattendo i muri delle echo-chamber, le piattaforme creano relazioni e costruiscono competenze. A differenza del film Netflix The Social Dilemma, qui oltre a sollevare domande, si danno anche soluzioni. È il caso di HealthUnlocked, social network inglese che mette in contatto professionisti, organizzazioni sanitarie e pazienti. Oppure i progetti di “cooperativismo di piattaforma” che promuovono principi come l’equità, il riconoscimento del lavoro e il diritto di disporre dei propri dati. L’esempio è Resonate, piattaforma cooperativa dedicata allo streaming musicale e posseduta dagli stessi utenti.

Poi, per me che sono di Udine – città che ultimamente ha un serio problema di gestione dei rifiuti (come ben sa Enrico Bertossi) – leggere di quello che hanno fatto a Firenze grazie a sensori IoT fa venire un tuffo al cuore. Sarà che sto invecchiando, ma affacciarmi sul panorama di una smart city penso che mi darebbe una certa emozione. Fondamentalmente perché saprei di guardare una città che non spreca le risorse, che sviluppa progresso, che ha a cuore la qualità della vita dei suoi cittadini. Insomma, quello che il Digital Demo Stockholm sta facendo a Stoccolma, in sinergia con aziende, università e istituzioni. Perché alla fine lo sviluppo sostenibile è un processo dove tout se tient.

“Se la digitalizzazione è una scelta (talvolta obbligata) di un individuo o di una organizzazione orientata a cambiare un comportamento, la trasformazione digitale va molto oltre. Impone alle persone e alle organizzazioni di riflettere sul senso di ciò che fanno. Per questo la digital transformation è rivoluzione di senso”.

La trasformazione digitale è un fenomeno sociale che ha un impatto non solo sul modo in cui si fanno le cose, ma soprattutto sui comportamenti, i modelli relazionali e le dinamiche di comunicazione. Quindi è un processo decisionale che ci riguarda in prima persona, come attori di un futuro che può essere plasmato da noi stessi. E questo vale per tutti: cittadini, istituzioni e imprese. Perché la conoscenza ci consente di avere una visione di futuro, fare scelte consapevoli e decidere in quale direzione andare. Se il cambiamento è inteso solo come una minaccia, allora il futuro sarà una trappola. Il progresso tecnologico è un’onda inarrestabile, sta a noi lasciarci travolgere o farci il surf.

 

Disclaimer:
  1. non ho ricevuto alcun compenso per questo articolo, ho solo voluto recensire un libro che mi sono comprato e mi ha entusiasmato;
  2. la situazione problematica della gestione rifiuti di Udine è ampiamente documentata sia sui media tradizionali che su quelli online (es. Udine Pulita – no porta a porta)
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