Senza emozioni, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l'apatia in movimento.
Carl Gustav Jung
Due weekend fa, mi trovavo in treno per Lucca, stavo andando ad ascoltare i Blur e navigando annoiato fra i social, ho trovato la foto di un vecchio articolo con un titolo provocatorio: “Il tuo obiettivo è la carriera? Ok, devi sembrare un idiota”. Mi è sembrato divertente farci un post su LinkedIn ma mai avrei pensato che sarebbe esploso come un fuoco d’artificio a Capodanno. Il post era questo:
E le statistiche (sbalorditive, per i miei standard) che ha generato sono queste:
Ok, il mio post era causitco, lo ammetto, ma non pensavo che sarebbe diventato virale. Di sabato, poi! Tutto ciò mi ha stimolato due punti di riflessione:
- come i social media tendono a premiare i contenuti che suscitano reazioni emotive piuttosto che quelli che promuovono un approfondimento;
- l’alto livello di insoddisfazione sul posto di lavoro riscontrato nei commenti.
Quindi, sulla scia di questo “successo” inaspettato, ho deciso di approfondire i due punti in questione.
La premiazione dell'emozione sui social media
Viviamo nell’era dell”economia dell’attenzione“, dove le emozioni intense, come la rabbia o la gioia, vengono stimolate per sviluppare attenzione. Del resto, gli algoritmi dei social media e delle piattaforme online sono progettati per massimizzare l’attenzione degli utenti e tenerli “ingaggiati” più tempo possibile. Post, tweet (si chiamano ancora così?), commenti: tutto è progettato per farci sentire qualcosa.
Ad esempio, se vediamo un post che ci fa arrabbiare, è più probabile che lo leggiamo e ci soffermiamo su di esso. Allo stesso modo, se vediamo un post che ci fa sentire felici, è più probabile che lo condividiamo con gli altri. Le emozioni possono anche influenzare il modo in cui ricordiamo le informazioni. Questo perché attivano il sistema limbico del nostro cervello, che è responsabile della memoria e dell’apprendimento.
Il mio post su LinkedIn ne è un esempio perfetto, anche se non era questo il suo scopo. Il tono provocatorio ha scatenato un’ondata di reazioni emotive, spingendo le persone a cliccare, a commentare e a condividere. L’effetto è quello di una pietra lanciata in uno stagno: l’impatto iniziale crea onde che si diffondono in tutte le direzioni.
Purtroppo, questo fenomeno ha un effetto collaterale: mentre i contenuti emotivi ottengono l’attenzione, i contenuti che richiedono un approfondimento vengono spesso trascurati. È come se stessimo navigando in un oceano di informazioni con una bussola che punta solo verso le emozioni più forti.
Insoddisfazione sul lavoro
Passando alla seconda riflessione, ho notato una tendenza preoccupante nei commenti al mio post: il 99% ha espresso un certo grado di insoddisfazione riguardo al posto di lavoro, un coro unanime di persone che o si sentono intrappolate in ruoli insoddisfacenti o sono frustrate dalla mancanza di opportunità di crescita. Questa risonanza emotiva mi ha fatto pensare a un iceberg: quello che vediamo online è solo la punta di una questione molto più grande.
Numerose ricerche, infatti, indicano che l’insoddisfazione sul posto di lavoro è un problema diffuso. Come avevo già scritto in questo articolo, un recente studio di Gallup ha rilevato che a livello globale solo il 20% dei dipendenti si sente veramente coinvolto nel proprio lavoro.
Il problema è che l’insoddisfazione non rimane confinata nel posto di lavoro. Trova la sua via d’uscita attraverso i social media, dove le persone esprimono liberamente le loro frustrazioni e le loro aspirazioni. In un certo senso, i social media sono diventati il megafono delle nostre insoddisfazioni professionali.
Il legame tra emozioni, social media e insoddisfazione sul lavoro
Ora, mettiamo insieme i pezzi del puzzle: da un lato, abbiamo social media progettati per amplificare le emozioni; dall’altro, un mare di insoddisfazione sul posto di lavoro. Questa combinazione crea un vortice emotivo. I sentimenti di frustrazione e insoddisfazione vengono amplificati e diffusi, creando un’eco che risuona in tutta la rete. Questo non solo influenza la nostra percezione della realtà del lavoro, ma può anche alimentare ulteriormente la nostra insoddisfazione.
Le esperienze negative sul lavoro possono spingerci a cercare conforto e comprensione online. Quando vediamo che i nostri sentimenti sono condivisi da altri, ci sentiamo meno soli. È come un fuoco alimentato da legna secca: le esperienze negative sul lavoro sono la scintilla, i social media sono l’ossigeno e le reazioni emotive degli altri sono il combustibile che alimenta le fiamme.
Conclusione
Quindi, cosa possiamo fare con queste riflessioni? Per prima cosa, possiamo essere più consapevoli del ruolo che hanno le emozioni nell’economica dell’attenzione. È importante essere in grado di valutare criticamente le informazioni a cui siamo esposti e concentrarci su quelle che sono più rilevanti per noi. Magari supportando i contenuti che richiedono più approfondimento!
In secondo luogo, possiamo utilizzare questa consapevolezza per affrontare meglio l’insoddisfazione sul posto di lavoro. Se vediamo un post che esprime frustrazione lavorativa, possiamo ricordare che non siamo soli. Possiamo utilizzare queste esperienze condivise come punto di partenza per cercare soluzioni, piuttosto che come motivo per rassegnarci.
In definitiva, la soluzione sta nel ricordare che i social media sono solo uno strumento, un amplificatore, non la realtà stessa. E che l’insoddisfazione sul lavoro, benché reale, può essere affrontata e risolta.
Devo dire che il mio post su LinkedIn mi ha insegnato molto più di quanto mi aspettassi. Mi ha aiutato a vedere come i social media e le emozioni suscitate dalla propria situazione lavorativa si influenzano a vicenda, e mi ha dato una nuova prospettiva su come affrontare l’insoddisfazione sul posto di lavoro. Spero che queste riflessioni possano fare lo stesso per te.
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