Perché parlo così spesso di trasformazione digitale?

Fra i saggi che ho letto negli ultimi anni, due hanno avuto un impatto notevole sul mio modo di guardare al futuro con entusiasmo ma, allo stesso tempo, accorgermi di quanto il presente sia fin troppo radicato nel passato. Impantanato, oserei dire. Il fatto significativo è che ho letto questi saggi prima che il COVID-19 sconvolgesse le nostre vite e creasse un discrimine epocale fra prima e dopo.

Questi due saggi sono “Contrordine compagni” di Marco Bentivogli e “Sostenibilità digitale: perché la sostenibilità non può fare a meno della trasformazione digitale” di Stefano Epifani. Entrambi, anche se da angolazioni diverse, parlano di innovazione, tecnologia e nuovi modelli produttivi e sociali. Per dirla in due parole: rivoluzione culturale.

L’essere umano è per questioni evoluzionistiche diffidente verso le innovazioni, ha bisogno di digerirle, assimilarle, essere certo che non siano dannose e soprattutto spesso avere il tempo per imparare a sfruttarle. Ciò è ancora più vero in ambito imprenditoriale/lavorativo. Ci sono aziende che dovrebbero usare come tagline “Si è sempre fatto così”.

Eppure il mondo sta diventando sempre più digitale, perché nonostante le lacune culturali o le chiusure mentali di alcuni leader aziendali, l’innovazione non si ferma. Quindi se le aziende vogliono restare competitive ed evolversi insieme al mercato, occorre ripensare i vecchi modelli operativi, sperimentare di più, diventare più agili nella capacità di rispondere a clienti e competitor.

Un atteggiamento conservatore, invece, porta inevitabilmente a due ordini di problemi: il primo è che l’azienda resti drammaticamente indietro rispetto al mercato fino alle inevitabili conseguenze; il secondo è che, sebbene i decision maker intuiscano la necessità di accelerare il lavoro di trasformazione, non abbiano creato le premesse per farlo.

Ecco perché, per beneficiare degli effetti positivi della trasformazione digitale, occorre prima individuarne i contorni e definirla, per comprenderla a pieno. Questo articolo mira a rispondere ad alcune delle domande più comuni sulla trasformazione digitale e fornire chiarezza a chi si trova nella condizione di dover avviare il processo di trasformazione.

Innanzitutto, cosa si intende per trasformazione digitale?

Per trasformazione digitale si intende l’integrazione della tecnologia digitale in tutte le aree di un’azienda. Un processo che richiede un cambiamento culturale, prima che operativo, perché mette in discussione lo status quo, sperimentare spesso e sentirsi a proprio agio con gli eventuali fallimenti che si possono affrontare lungo questo percorso. Nella tecnologia digitale rientrano certamente nuovi software o l’adozione di strumenti su cloud, ma non solo: si tratta di processi di automazione, nuove competenze, nuovi modelli di business, analisi dei dati.

Viviamo già immersi nella trasformazione digitale.

Uno studio di McKinsey & Co. evidenzia come il digitale sta accelerando in quasi tutte le categorie: tre americani su quattro hanno modificato le loro abitudini d’acquisto. Streaming, fitness online, salute, transazioni senza contanti, spesa online. Ma non solo. Anche in ambito B2B ci sono dati che mostrano come la vendita a distanza stia diventando sempre più efficace. Il miglioramento dell’esperienza del cliente è diventato un obiettivo cruciale, da cui l’adozione di strategie omnichannel che assicurino una seamless customser experience.

…e alla fine arriva COVID-19.

La pandemia ha significato un’inattesa e brusca interruzione dell’attività produttiva, ma spesso le crisi sono anche un’occasione di cui approfittare per fare un salto evoluzionistico. Quindi le aziende più aperte al cambiamento sono riuscite a rispondere riorganizzando la propria struttura, sfruttando i vantaggi della tecnologia digitale. Ciò ha significato introdurre procedure più snelle e funzionali, in grado di adattarsi in modo flessibile alle esigenze sia dei clienti che dei dipendenti.

“Ok, ma la mia è una piccola azienda”.

La trasformazione digitale riguarda tutte le aziende, senza distinzione. Proprio perché, come ho scritto prima, la sperimentiamo ogni giorno come consumatori. Certo, ogni azienda ha caratteristiche proprie e necessità diverse, tuttavia esistono alcune costanti comuni: l’esperienza dei clienti, l’agilità operativa, la cultura aziendale, lo sviluppo di nuove competenze, la ricerca di strategie efficaci, l’integrazione di nuove tecnologie.

Digitali ma umani.

Le iniziative di trasformazione digitale spesso rimodellano gruppi di lavoro, mansioni e processi aziendali consolidati. Per questo, il processo di implementazione e adattamento ai grandi cambiamenti che accompagnano questa trasformazione riguarda tutte le persone di un’azienda. E per questo è necessario farle sentire coinvolte in questo processo. Le aziende sono dei microcosmi di caratteri, inclinazioni, esperienze e capacità diversi. Se l’obiettivo è la trasformazione, tutti devono essere coinvolti e essere messi nelle condizioni di contribuire con le reciproche specificità. Anche da questo punto di vista la trasformazione digitale è un fenomeno culturale: coinvolgimento, empatia, definizione di obiettivi realistici permettono alle risorse umane di un’azienda di portare a destinazione il viaggio digitale intrapreso.

Si. Può. Fare!

Un fatto è certo: le aziende che nel 2022 continuano a sottovalutare la necessità di un cambiamento culturale lo fanno a proprio rischio e pericolo. Anche perché ormai ci sono segnali inequivocabili che il cambiamento è in atto. Mentre continuate a fare le stesse cose nello stesso modo, nel mondo sta succedendo questo:

      • si stanno adottando modelli operativi digitali come ad esempio team interfunzionali integrati;

      • chi ha investito nell’analisi di big data sta correndo a un’altra velocità;

      • l’IA sta diventando sempre più intelligente;

      • l’outsourcing favorisce la creazione di nuove partnership digitali;

      • l’adozione del cloud pubblico è sempre più diffusa;

      • emergono nuove metriche di successo;

      • le iniziative digitali sono adottate come investimento a lungo termine.

    Quanto vale questo sforzo?

    Questo è un argomento sensibile, me ne rendo conto. Le aziende giustamente ragionano in termini di ritorno sull’investimento. Tuttavia, può non essere semplice quantificare il valore di un processo in costante evoluzione e che spesso rivoluziona il posizionamento di un’azienda sul mercato e le interazioni con clienti e dipendenti.

    Ecco perché è necessario avere una visione olistica degli sforzi di cambiamento digitale e considerare la performance complessiva, accettando il rischio che uno specifico progetto performi in modo meno positivo ma senza che l’obiettivo generale sia compromesso.

     “La sola implementazione della tecnologia non è sufficiente. La tecnologia deve essere legata in modo specifico al monitoraggio degli indicatori chiave di performance sulle informazioni dei clienti e sull’efficacia dei processi aziendali”, afferma Brian Caplan, direttore della società di consulenza gestionale Pace Harmon.

    Quindi è importante impostare le metriche iniziali in anticipo ma anche imparare ad adattarsi e aggiustare il tiro in corsa, osservando l’impatto strategico, operativo e finanziario che questo viaggio sta significando per l’azienda.

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