Olocrazia: la rivoluzione silenziosa dell’organizzazione aziendale

In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza.

Nell’articolo precedente, “Come le organizzazioni Teal stanno cambiando il mondo del lavoro“, ci siamo avventurati nel mondo delle orgnizzazioni aziendali autogestite.

Tuittavia, l’approccio Teal non è l’unico metodo per gestire un’azienda in modo diverso e innovativo. In questo articolo voglio parlarti di un altro concetto affascinante: l’olocrazia.

L’olocrazia, termine che deriva dal greco holos (intero), è un sistema di governance aziendale sviluppato da Brian Robertson e implementato per la prima volta nella sua azienda di software, Ternary Software, nei primi anni 2000. Ma come si collega al Teal? E quali sono le differenze? Scopriamolo insieme.

Cos'è l'olocrazia?

L’olocrazia punta a sostituire la piramide gerarchica con una struttura a cerchi interconnessiognuno focalizzato su un ambito specifico (es. marketing, finanza, prodotto), dove ogni membro può partecipare a più cerchi in base a competenze e interessi, portando le proprie competenze dove servono. Non ci sono ruoli fissi, le responsabilità vengono distribuite in modo dinamico. Le decisioni emergono dal basso, attraverso un processo strutturato di proposta, obiezione e integrazione.

Non ci sono gerarchie e manager in senso tradizionale: il coordinamento di ogni cerchio ruota tra i partecipanti. Le decisioni vengono prese durante riunioni strutturate, dove le proposte si evolvono attraverso un processo di obiezioni e integrazioni. Un facilitatore guida la discussione, ma il potere resta distribuito.

In questo sistema dinamico e meritocratico, l’energia e il talento dei singoli sono motore del cambiamento. Ognuno ha la possibilità di esprimere il proprio potenziale e sentirsi realmente empowered sul lavoro.

Insomma, niente capi che comandano dall’alto: l’olocrazia vuole portare più voce a chi opera sul campo, rendendo l’organizzazione più agile, adattabile e incentrata sulle persone

I vantaggi dell'olocrazia

Perché passare all’olocrazia? Rispetto ai modelli gerarchici tradizionali, questo approccio presenta diversi vantaggi:

  • Maggiore agilità e rapidità nel prendere decisioni, grazie al processo bottom-up. Le idee non rimangono bloccate in lungaggini burocratiche.
  • Engagement e soddisfazione dei dipendenti, che si sentono ascoltati e messi in condizione di incidere. Finito il tempo di essere dei meri esecutori!
  • Adattabilità continua al cambiamento. I ruoli fluidi permettono di riallocare rapidamente energie e competenze dove servono.
  • Responsabilizzazione diffusa. Non ci sono “capri espiatori”: le decisioni vengono prese collettivamente.
  • Meritocrazia e valorizzazione dei talenti. Ognuno ha visibilità e può esprimere il proprio potenziale.

Insomma, l’olocrazia punta a liberare le organizzazioni da vincoli burocratici e gerarchici, scommettendo sulle persone e sul loro ingegno.

Solo teoria?

Ma l’olocrazia funziona davvero? Sono sempre più numerose le aziende che si affidano a questa metodologia di organizzazione aziendale. Sul sito della Holacracy Foundation puoi trovare la lista aggiornata delle aziende suddivise per Paese di origine, dimensione dell’azienda e settore merceologico. Vedrai che sono piuttosto eterogenee.

Se la tua azienda è pronta per un cambiamento, se senti che la struttura tradizionale sta frenando l’innovazione, l’olocrazia potrebbe essere la soluzione. Ma come ogni cambiamento, necessita di impegno, pazienza e un po’ di coraggio. Ma soprattutto richiede un cambiamento di mentalità da parte degli attuali dipendenti e leader. Un’organizzazione può superare questa sfida fornendo sessioni di formazione in modo che i dipendenti possano imparare come adottare un approccio più collaborativo al proprio lavoro.

Ecco alcuni consigli pratici per implementare l’olocrazia:

  • Partire in piccolo, testando il modello su un singolo team o progetto pilota
  • Formare i membri sul processo decisionale e i nuovi ruoli
  • Definire in modo chiaro ambiti e obiettivi di ciascun cerchio
  • Misurare i risultati in termini di produttività, innovazione, soddisfazione
  • Coinvolgere un facilitatore esperto che guidi la transizione

Olocrazia e Teal: due facce della stessa medaglia?

Sia l’olocrazia che il Teal sono tentativi di rispondere a una domanda fondamentale: come possiamo organizzarci in modo più efficace, umano e adattabile? Entrambi cercano di superare i limiti dei modelli organizzativi tradizionali, promuovendo l’autonomia, l’auto-organizzazione e un forte senso di scopo.

Tuttavia, nonostante queste somiglianze, ci sono anche alcune differenze fondamentali. La differenza più evidente riguarda la struttura.

L’olocrazia è un sistema molto strutturato, con chiare regole e processi per la presa di decisioni, la definizione dei ruoli e la risoluzione dei conflitti. Questa struttura è progettata per garantire che ogni voce venga ascoltata e che le decisioni siano prese in modo equo ed efficiente.

Il Teal, d’altra parte, è molto più fluido. Non ci sono regole fisse o processi prestabiliti. Invece, si basa sulla fiducia, sull’intuizione e sulla capacità di ciascuno di sintonizzarsi con il “senso” dell’organizzazione. Questa fluidità può creare un ambiente più libero e creativo, ma può anche portare a confusione e incertezza.

Il meglio di entrambi i mondi?

Quindi, quale approccio è il migliore? Come spesso accade in queste situazioni, la risposta è: dipende. Dipende dalle tue esigenze, dalla tua cultura, dal tuo contesto. Forse il tuo team prospera con la struttura e la chiarezza dell’olocrazia. O forse preferisce la libertà creativa e l’approccio intuitivo del Teal.

In ogni caso, sia l’olocrazia che il Teal offrono un’alternativa fresca e stimolante ai modelli organizzativi tradizionali. Entrambi ci invitano a ripensare il nostro modo di lavorare, a sperimentare nuove idee e a cercare continuamente modi migliori di fare le cose.

Che tu scelga un approccio o l’altro, l’importante è che continui a muoverti, a imparare e a crescere. Perché, come dice il proverbio, non è la destinazione che conta, ma il viaggio. 

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