Veronica Spinella, change manager

La gestione del cambiamento nell’innovazione aziendale

Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva al cambiamento.

Il cambiamento non è semplicemente una necessità, è la linfa vitale dell’innovazione aziendale. La gestione del cambiamento, o “change management“, è l’arte di guidare l’evoluzione culturale all’interno di un’organizzazione

È un tema che mi sta molto a cuore e che cerco di approfondire con i vari articoli di questo blog: le organizzazioni che ignorano il bisogno di evoluzione culturale si trovano spesso superate dagli eventi. Esistono casi eclatanti in cui la rigidità culturale ha causato il declino di colossi un tempo inattaccabili (in questo articolo ne ho descritto un paio di notori). Questi esempi servono da campanello d’allarme: l’innovazione culturale non è un lusso ma una necessità.

Per questo motivo, ho deciso di parlarne con una vera esperta. Veronica Spinella si occupa da più di 25 anni di sviluppo aziendale e gestione del cambiamento, prima all’interno di aziende multinazionali e da un paio d’anni anche in qualità di consulente.

L'intervista

Veronica, innanzitutto ti ringrazio per avermi concesso questa intervista. Come ho accennato nell’introduzione, ti occupi da più di 25 anni di sviluppo aziendale e change management. Come è cambiato l’approccio a questo tema nel corso degli anni?

In realtà l’approccio allo sviluppo organizzativo ha sempre avuto alcune caratteristiche costanti: lungimiranza e strategia dell’imprenditore, necessità del mercato, cambiamenti legislativi e normativi, un certo input che arrivava direttamente dalla concorrenza.

Nel corso degli anni si sono aggiunti progressivamente anche altri fattori. Innanzitutto, lo sviluppo tecnologico trasformativo sul modo in cui le PMI operano in quanto spinte a migliorare sempre di più l’efficienza operativa, l’ottimizzazione dei processi produttivi e del prodotto o servizio in modo da poter essere più concorrenziali e più flessibili alle richieste del mercato. 

A ciò si aggiungono i cambiamenti degli standard normativi relativi al settore di competenza che nel corso degli anni si sono evoluti e specializzati. 

Poi, non dimentichiamo la sostenibilità e la consapevolezza della responsabilità sociale d’impresa che da una parte è una evoluzione della qualità, lungimiranza e strategia imprenditoriale dell’impresa e dell’attenzione che la stessa ha e ha avuto nei confronti dell’ambiente e della società; dall’altra è una necessità di conformarsi ad essa per una mera accettazione del mercato e intrapresa in modo superficiale (cito sempre un detto antico che cita “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”). 

Infine, l’accesso alle risorse finanziarie messe a disposizione dai diversi canali e bandi nazionali ed europei.

Eppure, come ho scritto nel mio articolo sull’Innovation Theater, il cambiamento è spesso solo di facciata.

Esatto. Per quanto concerne la gestione del cambiamento in primis bisogna tenere conto se si tratta di un cambiamento solo dichiarato o decisamente voluto e sposato. Tutti i cambiamenti che fanno parte della prima categoria sono destinati ad essere proclamati e non vedere mai la luce della applicazione o iniziare ed essere poi bloccati con mille scuse. 

Il cambiamento all’interno di organizzazioni, soprattutto in quelle dove si pensa che “l’aver sempre fatto così” sia un dictat scritto sui sassi e di fatto non modificabile, anche se in principio viene sposato poi sarà certamente osteggiato perché andrebbe a modificare anche i piccoli orticelli che negli anni si sono creati e sono la zona di comfort di qualcuno anche se non funzionano. 

La reale gestione del cambiamento è un percorso delicato e richiede alle aziende di fare progressivamente un’analisi introspettiva importante. Per prima cosa infatti chi sposa veramente un processo del genere ha maturato la consapevolezza e l’importanza che questo avvenga per adattare se stessi alle nuove sfide e opportunità, modificando, dove necessario, la propria cultura aziendale adattandola anche ai cambiamenti tecnologici in essere, alla richiesta di flessibilità e a un approccio al work life balance che sempre di più diventa pregnante. Certamente questo iter li ha aiutati e li aiuta anche a sviluppare una mentalità più aperta e pronta al confronto.

Con una battuta, dico sempre che il pesce puzza dalla testa.

Ed è vero. Mai come in questi ultimi anni abbiamo iniziato a definire in modo sempre più puntuale cosa si intenda per leadership e quale leadership sia quella migliore per le organizzazioni.

Alcune PMI hanno già compreso l’importanza della leadership all’interno delle proprie organizzazioni: una leadership che sia d’esempio, forte, riconosciuta (non solo dall’organigramma), che sia in grado di essere una guida per i collaboratori nei singoli step del cambiamento, di comunicare in maniera efficace e continua, di spiegare la visione e il progetto e fornendo il supporto necessario al team.

E magari renderlo partecipe di questo processo di cambiamento, giusto?

Sì, nel corso degli anni, l’approccio al cambiamento si è evoluto: sono sempre più numerose le organizzazioni che coinvolgono i propri dipendenti nelle fasi di pianificazione e implementazione, avendo compreso l’importanza cruciale del coinvolgimento dei dipendenti sin dal primo momento come elemento per portare a termine il cambiamento.

Ciò si lega a un altro importante fattore: l’apprendimento continuo e lo sviluppo delle competenze. È necessario un costante investimento proprio su queste ultime per stare al passo con il mercato, cercando anche di anticipare i tempi e le richieste rispetto ai competitor. 

D’altro canto, anche la mancata o debole progettualità dello sviluppo delle competenze dei propri collaboratori e quindi la ridotta possibilità di crescita all’interno delle organizzazioni ha spinto e spinge i collaboratori a guardarsi intorno e a cercare un luogo dove ci sia reciprocità e sia data loro la possibilità di crescere professionalmente. 

Qual è la chiave per superare la resistenza al cambiamento?

Non esiste una ricetta univoca. Certamente in questo le qualità personali di chi è chiamato a gestire il cambiamento, che ricordiamoci tutti è un percorso graduale e necessita di costante supervisione e attenzione, hanno una loro peso specifico e possono certamente fare la differenza sui risultati e tempi.

Ciò premesso bisogna tenere in considerazione che la resistenza al cambiamento è una reazione naturale perché porta i collaboratori a confrontarsi con qualcosa di nuovo o sconosciuto e quindi all’inizio gli si chiede di uscire dalla zona di comfort. Esistono diversi fattori che possono innescare questo tipo di reazione: paura del fallimento, perdita e incertezza, solo per citarne alcuni.

Ecco che in questo ambito entrano in gioco tutte le forme di supporto alla persona possibili che possano essere di aiuto ad affrontare questo percorso di cambiamento. Il coaching, ad esempio, anticipato se possibile da un LUXX profile (profilazione dei fattori motivazionali) possono essere degli ottimi strumenti.

Mi sembra di capire che il fulcro del cambiamento siano le persone.

Esatto. Questo concetto è fondamentale. Poi, è chiaro che esiste un percorso adattabile con delle caratteristiche definite. Ad esempio la comunicazione chiara, aperta ed efficace in modo che si riescano a spiegare i motivi del cambiamento e i benefici attesi, le ragioni che hanno portato alla decisione di questo cambiamento e come si intende implementare, rispondere a tutte le domande che ne seguono stando molto attenti ad interpretare anche il non verbale attraverso anche espressioni fisiche.

Ciò porta necessariamente alla creazione di un team interdisciplinare di lavoro e al coinvolgimento dei singoli membri sin dalla fase di pianificazione. In questa fase, è essenziale incoraggiare una partecipazione attiva dei singoli e raccogliere tutti i feedback e i suggerimenti, creando un clima aperto al confronto, in modo che tutti si sentano liberi di dare il proprio contributo all’implementazione. Proprio le nuove idee, i feedback ed eventuali nuove sfide emergenti devono trovare disponibile il leader a modificare il piano e ad adattarlo alle nuove esigenze.

Anche la condivisione di una visione del post cambiamento desiderato è un passo importante: con il coinvolgimento alla costruzione di questa nuova visione ogni singola persona si sentirà coinvolta e allineata agli obiettivi creati anche grazie alla sua partecipazione.

E poi, come abbiamo detto prima, la leadership è cruciale: è necessario che ci sia un leader che abbia sposato in primis il cambiamento che deve essere messo in atto, che dimostri un forte impegno e che sia un esempio positivo, un modello da seguire in grado di mostrare piena fiducia nelle capacità di un adattamento di successo dell’intera organizzazione al cambiamento. Inoltre, al leader spetta anche la verifica e l’assicurazione di avere risorse sufficienti per l’implementazione richiesta e mettere in campo ogni possibile strumento per supportare il team ad adattarsi alla nuova condizione

Qualche settimana fa, ho pubblicato un articolo sulla gamification come chiave per sbloccare il potenziale delle aziende. Cosa ne pensi?

Trovo molto efficace utilizzare riconoscimento e premi. Come in tutti i progetti è necessario anche che i successi intermedi siano riconosciuti e premiati durante il percorso di un progetto di cambiamento. Fare squadra, riconoscere l’impegno e il risultato è un elemento fondamentale: è rispettare gli sforzi fatti e i traguardi raggiunti. Ogni forma di incentivazione, che sia un elemento stimolante e motivante per il team, è auspicabile.

Su questo blog, mi occupo prevalentemente di PMI. Un po’ perché è una dimensione che conosco meglio, un po’ perché - dati alla mano - le PMI italiane sono più resistenti al cambiamento rispetto alle aziende più grandi. Hai notato anche tu questa differenza nella tua esperienza?

Non lavorando solo nelle PMI ti posso dire che vi è una diversa resistenza al cambiamento nelle aziende multinazionali che fanno meno fatica ad adeguarsi a scelte prese dalla casa madre proprio per una questione di cultura aziendale. Detto questo anche loro presentano, in intensità diverse, più o meno gli stessi problemi delle PMI.

La grande differenza in questo la fa la cultura aziendale e il livello di evoluzione che esiste all’interno della singola PMI. Ci sono PMI con a capo imprenditori veri e propri, con idee chiare, al passo con i tempi e strategie ben definite. Sanno perfettamente cosa vogliono ottenere, quali sono le leve del cambiamento che li guida e sono i veri promotori concreti del cambiamento. È un piacere lavorare con loro in quanto diventa un gioco di squadra vero e proprio.

In altri casi ti trovi di fronte PMI che parlano di cambiamenti di cui non hanno alcuna conoscenza e lo sposano solo a parole. Questi ultimi casi creano un effetto boomerang perché vi è una continua comunicazione interna che non trova mai applicazione creando quell’effetto di sfiducia e malcontento che, alla lunga, porta improduttività e un peggioramento del clima aziendale. Consideriamo che la permanenza dello status quo dopo varie dichiarazioni di cambiamenti che saranno effettuati porta alla completa sfiducia nei confronti del management o proprietà che sia.

Spesso quando si parla di innovazione, si pensa solo all’innovazione di prodotto. Invece, io ritengo che per fare innovazione si debba innanzitutto far entrare l’innovazione nel Dna dell’azienda. Come si può coltivare la cultura dell’innovazione?

L’innovazione riguarda l’intera azienda nei suoi 360 gradi. Se ci pensiamo bene sono stati investiti dall’innovazione in primis i prodotti, poi i processi (e non solo quelli produttivi), i sistemi, gli schemi di certificazione e progressivamente poi ancora tanti altri aspetti. Anche qui si ritorna però alla cultura aziendale e all’approccio imprenditoriale. È il mindset dell’imprenditore che fa in questo caso la differenza.

Ricordiamoci una cosa molto importante: tutti partecipano alla creazione di una cultura aziendale, ognuno deve fare la sua parte e non pensare che solo il management abbia dei doveri. Ho sempre creduto che si debba essere parte integrante dell’azienda, del dare prima del ricevere, del partecipare e lavorare duro per raggiungere un miglioramento. La cultura aziendale non è un documento d’intenti calato dall’alto ma deve essere dettato da un modus operandi condiviso e di valore. Anche il nostro approccio all’evoluzione deve essere innovativo. Il nostro personale apporto al lavoro di tutti i giorni deve corrispondere a questo cambio di direzione.

Certo, basta pensare all'impatto che l'Intelligenza Artificiale potrà avere sul nostro lavoro. Un'ultima domanda: esistono degli indicatori o metriche per valutare la cultura dell’innovazione di un’azienda?

Beh, in questo caso una premessa è doverosa: la scelta degli indicatori in questione dipende dal tipo di azienda in cui operiamo. Gli indicatori, infatti, devono avere uno stretto collegamento con i processi che sono stati sviluppati e la realtà in cui si opera. In pratica possiamo dire che devono essere tailor made, cuciti sull’azienda.

Detto questo, è necessario definire dei KPI (Key Performance Indicator) o OKR (Objectives and Key Results) per tenere sotto controllo l’andamento e monitorare l’efficacia del cambiamento in maniera oggettiva. Questo permette anche di adattare il processo ai risultati e comprendere le azioni da intraprendere dalle cosiddette lessons learned (lezioni apprese).

A titolo d’esempio, potremmo parlare di:

  • numero di idee innovative generate per sapere quante idee innovative l’azienda riesce a generare e quindi essere creativa per risolvere problemi rispetto al numero totale di idee generate;
  • tasso di adozione di queste idee che ci indica, rispetto al primo citato, quante idee l’organizzazione è stata in grado di implementare, trasformandole in realtà;
  • budget dedicato alla innovazione che ci permette di comprendere quanto l’azienda decida di investire in modo costante e mirato rispetto al budget globale disponibile;
  • numero di progetti innovativi portati a termine con successo rispetto al totale dei progetti aperti a cui potremmo anche aggiungere nei tempi stabiliti.

Questi sono solo alcuni esempi ma ogni realtà può generarne di diversi e più attinenti alla propria realtà.

Bene, Veronica, grazie mille per questa intervista. È stata molto interessante. In bocca al lupo per il tuo lavoro: spero che sempre più aziende comprendano la necessità di evolversi. Ce n’è davvero bisogno.

Grazie a te, mi ha fatto molto piacere discutere con te di questi temi. Credo anch’io che ci sia un gran bisogno di evoluzione.

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